Risposta a Zambelli sulla questione dell’ateo che si pone il problema del male
Da circa un paio d’anni sono solito seguire i mirabili video di Coham de “L’eterno assente”, un validissimo razionalista (mi pare dottore in fisica) e uomo di grandi capacità che ammiro moltissimo.
Qualche giorno fa, un insegnante di religione, il prof. Massimo Zambelli, ha ingaggiato un “botta e risposta video” con il suddetto Coham, citando anche me sui social.
La questione in discussione è il famoso problema del male, problema irrisolto storicamente e filosoficamente in ambito teologico.
Sono anni che Coham pone questa sfida: la risoluzione di questo problema (che sembra soluzioni non averne) ha messo alle corde i teologi. Nessuno ad oggi è riuscito a risolvere tale problema, anche perché Coham (a giusta ragione) rifiuta la risposta “mistero della fede” o qualunque altra risposta che, non risolvendo il problema, si affida all’idea di aver ugualmente fiducia in tale concetto, in tale Dio, anche se non trova una soluzione: chi fa così si rifugia (almeno a suo dire) nell’idea che una spiegazione ci debba pur essere, ma non è alla nostra portata, “quindi si ritiene valido razionalmente continuare a credere in un dio buono ed onnipotente” e si lascia questo al “mistero della fede”. È infatti questo un modo per aggirare il problema senza affrontarlo. Il problema resta lì. Non è un caso che, per anni, anche io abbia discusso molte volte e, quando ho fatto cenno a questo problema, è sempre stato un mettere ineluttabilmente fine alle discussioni. Non è mancato qualcuno che abbia tentato una risposta, la quale (però) dopo il primo scambio di battute veniva sempre lasciata miseramente in sospeso. E questo perché bastano pochi scambi di battute per rivelare l’irrisolvibilità del problema.
Da qui il motivo della citazione: io mi ero sentito chiamato in causa da Zambelli, in quanto aveva citato me sul tema del male assieme a Coham. Coham ha risposto a mezzo video ed anche io mi sono rapidamente attrezzato.
Ed eccomi qui, con la mia risposta video in allegato ad un articolo per andare più a fondo.
Ma vediamo le argomentazioni di Zambelli (in fondo all’articolo riporto tutti i link ai vari botta e risposta).
In sintesi, Zambelli sostiene che sebbene sia vero che il male esiste (non tenta di trovare una soluzione), ciò su cui si focalizza, più che altro, è il fatto (che lui trova “strano”) che persone come me e Coham si pongano il problema del male! Perché – lui sostiene – tale problema dovrebbe essere di ordine metafisico e spirituale ed, in quanto ateo, non dovrei avere tale spiritualità.
Tralasciando che esistono vari significati del termine “spirituale” ed anche di “metafisico” e che trovo abbastanza strano che la religione (o i religiosi) ora si accaparri (o tenti di farlo) il merito di essere l’unica detentrice della spiritualità (ricorderei le parole di Einstein che osservava come ai suoi tempi le uniche persone davvero spirituali fossero, ormai, gli scienziati).
Lo stesso Rovelli, indubitatamente e dichiaratamente ateo, è persino definibile un fisico con idee, al di là del fronte fisico (e non potrebbe che essere al di là), metafisiche. Come detto dal buon Piergiorgio Odifreddi: Rovelli è un fisico e metafisico!
In realtà la questione è che io, ateo razionalista, sono comunque sicuramente capace di riconoscere il male ed il bene, in forma soggettiva, in quanto dotato di empatia. E so che ne esistono forme largamente condivise, anche per convergenza etica evolutiva. Non mi pongo affatto il problema dell’esistenza di un bene assoluto, semmai sono i credenti che vengono a dirmi che esisterebbe questo bene assoluto, il quale però non è meglio definito!
Infatti, se mi si pone come concetto di “bene assoluto” qualcosa che “sia tale perché percepito come bene da tutti”, allora si pone il problema della non totale condivisione del supposto bene assoluto da tutti. Se me lo si pone come il bene voluto da qualcuno (Dio, il progettista intelligente o simili) che chiamiamo assoluto, esso non è un bene assoluto per davvero, ma – piuttosto – un bene relativo di un soggetto che chiamiamo assoluto (e dunque ancora relativo: il bene relativo del “signor assoluto”) e peraltro si pone anche la questione del “perché si debba seguire una specifica etica” (e nello specifico questa). Se definisco bene e male su base relativa, poi definisco il bene assoluto come il bene di Dio, (il signor assoluto) e non riesco a definire meglio il bene assoluto, allora (come per il mio prossimo) anche per Dio potrei non condividere il suo concetto di bene e questo non si potrebbe avvalorare ulteriormente, perché per stabilire che la posizione di Dio sia da seguirsi “in quanto giusta”, servirebbe un ulteriore riferimento, più in alto dello stesso Dio.
Altrimenti dire che “va seguito ciò che vuole Dio, perché è giusto” diventa (logicamente) insensato.
L’unico modo alternativo di imporre la strada da seguire, a quel punto, è una imposizione dittatoriale (che poi è ciò che realmente avviene: le persone decidono di seguire una certa strada alle volte perché condividono quella visione di giusto o sbagliato ed altre volte perché sperano in un premio o temono una punizione).
Se parliamo di un bene come assoluto dobbiamo pensare ad un bene inteso per noi umani (ma per tutti indistintamente), altrimenti ciò che bene è per Dio potrebbe essere male per noi (un po’ come il bene per il leone non è il bene per la gazzella, anzi sono agli antipodi) e non si capisce perché dovremmo seguirlo.
Qualcuno può risolvere il problema accettando che sia effettivamente vero che ciò che è bene per Dio non sia per forza bene per noi, ma questo implica che (anche se in parte) Dio possa volere il nostro male.
Ed è quanto ho spesso sentito affermare ad alcuni apologeti, affermando che egli ne abbia diritto.
Ma si tratta di un diritto di cui si sarebbe autoinvestito, o accettato per sudditanza: per avere (ancora una volta) un diritto, serve una realtà sovrastrutturale (e per definizione di Dio non c’è per Dio).
Ed allora, ecco che viene sostenuto che ciò che Dio fa, lo fa per il bene di noi umani.
E sono perfettamente pronto a fermare il discorso alla dichiarazione/ammissione che non sia così! Ma a quel punto cambia il senso di “buono” e va benissimo. D’altronde, se “buono” per Dio significa “strnz” per noi o alcuni di noi, va da sé che sia naturale ribellarsi! E non farlo appare come la sottomissione, semplicemente, ad un dittatore perché troppo potente.
Dunque accettiamo per un istante l’affermazione secondo cui Dio non voglia il male degli uomini, delle persone in generale e contemporaneamente accettiamo la sua onnipotenza ed onniscienza come da definizione.
Ora… noi, intorno vediamo il male, siamo in grado di riconoscere come male.
Indiscutibilmente, possiamo vedere la sofferenza degli innocenti: i bambini che muoiono di cancro, in una età in cui non possono ancora essersi macchiati di alcuna colpa.
Ed ogni possibile giustificazione di questo tentata dalla teologia decade se si ritiene Dio onnipotente: un dio onnipotente non ha vincoli, per la stessa onnipotenza, può tutto ergo non gli sarebbe impossibile nulla e dunque nemmeno garantire l’umana libertà, il libero arbitrio e quant’altro voglia, senza cadere nella sofferenza di alcuno!
Non solo alle volte a molte soluzioni, anche se parziali, siamo approdati noi stessi che onnipotenti non siamo, ma nel momento anche in cui non potessimo risolvere noi, con il nostro intelletto, è l’essere onnipotenti che impedisce di trovarsi nell’impossibilità di qualcosa.
Pertanto Dio, se esiste e se è onnipotente, ciò che avviene lo vuole!
Non esiste giustificazione delle scelte o di ciò che consente, perché ogni problema o vincolo o motivo giustificante è, per definizione, superato dalla sua onnipotenza.
Ora, se sussiste questo problema, lo dobbiamo agli inventori di Dio (è accaduto ciò che accade quando, nello scrivere una storia fantasy, si danno poteri tanto grandi a qualche personaggio che poi diventa impossibile gestire la trama senza cadere in contraddizione – mi si perdoni, ma non è colpa mia).
Ed è questo il punto: io e Coham siamo in grado di riconoscere la sofferenza e non pretendo affatto (come ribadisco al buon Massimo Zambelli) che l’universo mi debba riconoscere del bene, perché nel bene assoluto (dunque anche nostro) non ci credo! Non credo nemmeno in un finalismo dell’universo rivolto all’umano.
Ma le mie considerazioni sorgono quando qualcuno mi narra dell’esistenza di una entità onnipotente e buona (puro bene che significa bene, quindi, anche per noi).
Ed è lì che il problema si pone sul piano logico: io accetto la definizione e mi pongo per assurdo attimo nell’idea che esista tale entità; da qui deduco che si cade in una contraddizione.
E questo, ahimè, porta a dedurre (con la logica matematica) che questo dio (quello onnisciente, onnipotente e buono) non esista.
E non solo perché l’onnipotenza implica una serie di contraddizioni logiche già a priori, ma anche perché (pur ignorando tali definizioni) essa comporta l’eliminazione di qualsiasi vincolo per Dio. Questa cosa ha avuto una grande importanza sul piano teologico nella storia, tanto che non si è voluta eliminare questa possibilità dalla sua definizione, ma al contempo tale caratteristica lo pone nell’inesistenza. Una questione, però, è interessante: quali sono le motivazioni teologiche per cui hanno voluto mantenere inalterata la definizione di onnipotenza (ridefinendo l’onnipotenza solo ai fini di superare il problema) ma poi continuando ad applicare la vecchia definizione irrazionale?
Infatti, nonostante queste difficoltà logiche, le motivazioni teologiche per mantenere intatta la definizione di onnipotenza sono varie e spesso intrinsecamente legate alla tradizione e alla dottrina religiosa. Due in particolare:
Rispetto alla tradizione teologica: Molte dottrine religiose, in particolare all’interno del cristianesimo, hanno una lunga storia di interpretazione e insegnamento della divinità come onnipotente. Modificare questa definizione potrebbe minare la coerenza interna della dottrina e della pratica religiosa accumulata nel corso dei secoli.
Necessità di potenza assoluta: L’onnipotenza è vista da alcuni teologi come un attributo essenziale di Dio, necessario per mantenere la sua supremazia e la sua capacità di intervenire nel mondo. Questo concetto di potere illimitato può essere considerato cruciale per l’autorità e l’efficacia della divinità nell’ordine del mondo.
E dunque, ai fini puramente di superamento dei blocchi logici dei filosofi si è tentato più volte il superamento del problema del male: Alcuni teologi hanno tentato di affrontare il problema del male riformulando la definizione di onnipotenza in modo da sottolineare che Dio può fare tutto ciò che è logicamente possibile e coerente con la sua natura. Questo tentativo mira a preservare l’onnipotenza di Dio mentre spiega perché il male esista, sebbene non sempre soddisfi interamente la critica razionale.
Ma soprattutto tale soluzione è applicata localmente alla posizione espressa ma non ricondotta alla ridefinizione dell’intero concetto di Dio – che per diversi motivi, come anche quelli suddetti – richiede il mantenimento della vecchia definizione.
Link allo storico dei video: primo video di Zambelli: • Lo strano scandalo dell’ateo per il m…
replica di Coham (L’eterno assente): • 177 – DIMENTICARE L’EMPATIA
replica di Zambelli: • Replica sull’empatia: l’Aut Aut resta…
controreplica di Coham (L’eterno assente): • 178 – ANCHE BASTA