• Dom. Dic 22nd, 2024

Sin dal periodo del positivismo ottocentesco, è iniziato un intenso dibattito scientifico e filosofico, che si prolunga fino ai giorni nostri, sull’idea che la nostra mente sia un prodotto del cervello e che le nostre decisioni non siano intrinsecamente libere. Per “intrinsecamente libere” si intende essenzialmente “non dipendenti, libere da influenze sia esterne che interne a noi”.

Cenni storici

Ma quando è nata storicamente l’idea che la nostra mente fosse un prodotto del cervello e che le nostre decisioni non fossero intrinsecamente libere? Stando ai documenti storici in nostro possesso, uno dei primi a proporre una visione materialista fu Democrito (460-370 a.C.), il quale sosteneva che tutto, compresa la mente, fosse composto di atomi. Platone e Aristotele svilupparono teorie più dualistiche, separando mente e corpo, ma riconoscendo l’importanza del cervello (Aristotele pensava che la mente fosse nel cuore, ma riconosceva il cervello come importante per il raffreddamento del sangue). René Descartes (1596-1650), sebbene dualista (res cogitans e res extensa), influenzò il pensiero scientifico sull’importanza del cervello per la mente. Successivamente, Thomas Hobbes (1588-1679) propose una visione materialista della mente come prodotto del cervello.

Nell’era moderna, nel XVIII e XIX secolo, la ricerca neurologica iniziò a collegare funzioni mentali specifiche a parti del cervello, come nel lavoro di Franz Joseph Gall sulla frenologia. Nel XX secolo, la neuropsicologia e la neurologia consolidarono l’idea che il cervello sia la base fisica della mente, con pionieri come Sigmund Freud e Santiago Ramón y Cajal.

Il problema

Le questioni sollevate spaziano dal dibattito sul determinismo contro l’indeterminismo, alla percezione che le nostre scelte siano intrinsecamente libere, fino alle questioni di natura teologica. Le posizioni filosofiche sono numerose, ma generalmente orbitano intorno alle posizioni deterministe o indeterministe. C’è spesso confusione nell’argomento, poiché erroneamente si confonde il determinismo con l’origine fisica della mente o con la negazione della libertà intrinseca, o si assume che la negazione del determinismo sia sufficiente a negare che le scelte siano intrinsecamente libere. Inoltre, si confondono queste posizioni con l’origine biologica/fisica e l’idea che possano essere di natura metafisica.

Questo caos è dovuto anche al fatto che, quando ci si avvicina a questi temi, spesso si cerca di mantenere salde le proprie posizioni, prestando attenzione più al timore che qualcosa possa contrastare con le proprie convinzioni. Inoltre, si tratta di argomenti assai complessi.

La libertà

Iniziamo con il concetto di libertà e la differenza con quello di libertà intrinseca. Una scelta si dice libera se avviene sotto l’influsso della sola influenza interna e libera da forze esterne, quindi è inevitabilmente imputata a noi. Diversamente, si dice intrinsecamente libera se avviene libera da forze sia interne che esterne, ma resta comunque imputata a noi. Spesso i due concetti di libero e intrinsecamente libero si sovrappongono, poiché la concezione di libertà più comune è quella di libertà intrinseca, sebbene non sia possibile concepirla razionalmente.

E dunque, le nostre scelte sono libere?
Dipende dal significato che attribuiamo a “libero”. Invero, il libero arbitrio non è un concetto completamente escluso, se intendiamo che le nostre scelte siano in una certa misura libere, ossia se intendiamo che dipendano solo da noi stessi. Quando ripensiamo a una nostra scelta precedente, spesso abbiamo la sensazione che in quel momento avremmo potuto scegliere diversamente. E questo è possibile, se il nostro stato interiore fosse stato tale da volere qualcosa di diverso.

In realtà, tutto dipende dalla volontà: non possiamo liberamente attuare qualcosa che non sia nostra volontà; sarebbe una contraddizione in termini. Dunque, dire che avremmo potuto scegliere diversamente è subordinato al fatto di volere diversamente, se la scelta è stata libera. La libertà della scelta è infatti intendibile razionalmente come “libera da influenze esterne”.

Sappiamo che nessuna scelta è davvero libera totalmente da qualsiasi influenza esterna: calore, freddo, dolore, paura, ecc. influenzano il nostro umore e quindi la nostra volontà. Ma è chiaro che la nostra volontà è mossa soprattutto da forze/pulsioni interiori.

In effetti, se ricerchiamo su Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Libero_arbitrio “Il libero arbitrio è un concetto filosofico e teologico secondo il quale ogni persona ha il potere di decidere gli scopi del proprio agire e pensare, tipicamente perseguiti tramite volontà, nel senso che la sua possibilità di scelta ha origine nella persona stessa e non in forze esterne.”

Su questo, tutto sommato, possiamo concordare: una persona è libera se può attuare la propria volontà, intendendo con volontà un proprio stato interno, sulla cui natura in questa definizione non si entra nel merito. Potremmo dire che tale volontà sia di tipo biologico, o potrebbe essere di tipo metafisico, o altro… ma la libertà è qui intesa in tal modo: nessuna influenza esterna che vincoli l’attuazione delle scelte.

Se questa è la concezione di libero arbitrio, può apparire strano, ma scienza e razionalità possono confermarne attualmente il senso.

Un primo cenno al problema teologico

Il problema sorge però in ambito teologico, poiché così definito il libero arbitrio crea problematiche in tal senso. Se una persona attua la propria volontà e questa avesse origine liberamente da forze solo interne, la scelta sarebbe la conseguenza della volontà, la quale sarebbe una conseguenza della natura della persona (l’insieme delle sue caratteristiche alla nascita più quelle acquisite da quel momento attraverso scelte che, quando imputabili a lei, sono state dovute alla sua natura fino a quel momento). Questo non consente di giustificare il male o parte di esso nel mondo attraverso il libero arbitrio. Inoltre, consente di imputare tutto il male e le scelte sbagliate degli umani alla natura umana, che è nella natura della realtà, e che si associa alla volontà di Dio. In tal modo, Dio sarebbe indirettamente responsabile volontario di ogni violenza, strage, guerra, stupro, ogni male.

La soluzione teologica è quella di ridefinire il libero arbitrio assumendo che la libertà di scelta abbia origine nella persona, ma non sia determinata né da forze esterne né da forze interne, ma ugualmente attribuibile a lui. Ad esempio, sul sito della “St Andrews Encyclopaedia of Theology” leggiamo: https://www.saet.ac.uk/Christianity/FreeWill “An agent controls her actions when those actions have their origins in the agent’s will and reason, rather than originating outside the agent.”

Secondo Tommaso d’Aquino, la volontà sarebbe “desiderio razionale”, concetto assai lontano da “ciò che desideriamo”. La libertà entrerebbe in gioco quando consideriamo vari mezzi per raggiungere i fini desiderati e ci muoviamo nel perseguimento di alcuni di essi. La nostra volontà sarebbe libera in quanto non fissata dalla natura su alcun mezzo particolare (né interno né esterno), ed in genere non ci sembrano né incondizionatamente buoni né unicamente soddisfacenti per il fine che desideriamo raggiungere.

La definizione di Tommaso, tuttavia, non fa che spostare il senso dei termini: il concetto di volontà come “desiderio razionale” non è la nostra volontà emotiva, quanto piuttosto una capacità razionale di analisi delle volontà emotive e la selezione di quelle affini ad un obiettivo che, secondo logica razionale, ci condurrebbe verso un riferimento. E il riferimento di Tommaso ritorna ad essere l’etica divina.

Quanti buchi

Questa disamina lascia buchi qua e là: perché si attui qualunque azione razionale, anzi qualsiasi azione, è necessaria una pulsione, la quale è sempre emotiva. Non esiste una ragione razionale di base per qualsiasi azione; andare a lavorare è una azione che segue una logica razionale nel momento in cui sono fissati dei desideri: “voglio mangiare, voglio l’abbonamento a Netflix, voglio fare viaggi” ma anche “non voglio fare del male o non voglio conseguenze legali” e razionalmente – analizzando le varie alternative – “preferisco non rubare o non fare cose illegali e vado a lavorare”.

Per perseguire l’obiettivo dell’etica divina di Tommaso si deve volerla rispettare, dunque alla base deve esservi un motivo per farlo di tipo razionale applicato alle nostre necessità di base (non voglio il castigo divino) o la condivisione dell’etica. Ma se io, per mia natura, me ne frego del castigo divino o non credo che ci sia e non condivido quella etica, la ragione non mi indicherà tale percorso.

Quindi Tommaso ha cambiato determinate definizioni, lasciando inalterato il senso comune, coniugando le due cose (e sarebbe una fallacia), o sta inventando arbitrariamente dei meccanismi inesistenti. Infatti, la stessa teologia si è trovata innanzi a questo problema. Su Reformation 21, un sito dedicato alla teologia riformata e alle discussioni sulla fede cristiana, leggiamo: https://www.reformation21.org/ “If free will means that somehow our will is unencumbered by any forces external to us (libertarian free will) then, no, the Bible does not teach free will in that sense. Observations from our own lives confirm that we are constantly being acted upon by things as varied as the weather and the actions of others. Even traffic has an impact upon the choices we make.”

Questa reinterpretazione non è universalmente accettata nel cristianesimo, perché implica una serie di problematiche teologiche non piccole: il libero arbitrio, inteso come basato su una libertà non dipendente né da forze esterne né interne ma attribuibile ugualmente al soggetto, è usato spesso per giustificare il male nel mondo ma soprattutto per non far ricadere su Dio il male commesso da persone. Se le persone compiono il male mossi da forze interne dovute alla propria natura, possiamo dire che ogni atto malvagio è mosso dalla natura di chi la compie, la quale è in quel modo e non potrebbe essere diversamente, nel senso che una persona non sceglie la propria natura. Risalendo all’origine, questa è dovuta a cose non dipendenti dalla persona, quindi alla causa della natura umana, che nella teologia cristiana è Dio, figurativamente o effettivamente legata ad Adamo ed Eva.

E’ per questo che la teologia tenta uno scorporamento della scelta, ossia dell’attuazione della volontà sia da forze interne che esterne, scollegandola dalla natura umana, ma pretendendo che sia comunque attribuita alla persona umana. È un tentativo di far ricadere le colpe sull’umano senza colpevolizzare Dio come causa degli umani. Questo concetto è utilizzato per spiegare che il male nel mondo è causato dalle scelte libere degli esseri umani, senza che Dio sia direttamente responsabile.

Reformation 21 evidenzia che la Bibbia non supporta l’idea di libero arbitrio in senso libertario (completamente libero da influenze esterne), poiché le nostre scelte sono sempre influenzate da vari fattori come il tempo, le azioni degli altri e persino il traffico. Questo riconoscimento delle influenze esterne cerca di risolvere alcune problematiche irrazionali della concezione teologica classica del libero arbitrio.

In estrema analisi, resta un problema che aggrava la classica problematica della teodicea cristiana: se il libero arbitrio è inteso come la nostra libertà di agire senza influenze esterne, solo mossi da forze interne, ossia dalla nostra volontà, resta il problema teologico, per i sostenitori di un dio buono, giusto ed onnipotente, del dover giustificare le azioni malvagie delle persone, qualora dovessimo credere che la nostra natura venga da Dio, il quale ci avrebbe voluti creare secondo sua volontà.

Una soluzione spesso tentata è quella di affermare che questo sia il migliore dei mondi possibili, ma questo implicherebbe l’impossibilità anche solo di pensare a soluzioni migliori, dato che si parla di un dio onnipotente per definizione. Oppure si tenta di affermare che Dio possa permettere un male minore per evitarne uno maggiore. Anche questa è una contraddizione, poiché qualunque bisogno nasce dalla impossibilità o difficoltà ad attuare qualcosa, e questo non è attribuibile a un dio onnipotente.

Torniamo sul problema del libero arbitrio: libertà non intrinseca

Resta ovvio che nessuno di noi può volere di volere, non possiamo scegliere la nostra volontà. Si torna quindi alla concezione di libero arbitrio inteso come attuazione della volontà, nel senso che la possibilità di scelta avrebbe origine nella persona stessa e non in forze esterne. Oggi sappiamo che anche questo non è propriamente vero. Finalizzando l’origine della volontà nelle sole forze interne, noi siamo liberi di scegliere, ossia di attuare la volontà, ossia i nostri stati interni, o quantomeno la nostra libertà è a sua volta libera.

Questo, ancora, è indipendente dall’origine dell’arbitrio (che esso sia totalmente biologico o di origine metafisica): se una cosa è in qualche modo imputabile a me in quanto scelta mia libera non può essere libera dal mio stato interiore (fisico o metafisico o ibrido che sia).

E’ anche logica basilare: se un’azione è imputabile a me, se ne sono responsabile, significa che – almeno in gran parte – deve dipendere dalla mia natura, perché (almeno nell’istante in cui la compio) mi qualifica.

Il problema della origine biologica

C’è poi il problema della origine biologica o meno della propria capacità decisionale o della coscienza, che (come ho detto già) è un problema diverso dalla questione del libero arbitrio intrinseco (o assoluto).

L’idea che l’intelligenza e la coscienza derivino dal cervello e dalle reti di interconnessioni neurali si basa su numerose prove scientifiche raccolte nel corso degli anni attraverso studi in vari campi della neuroscienza, psicologia e biologia:

Danni Cerebrali e Funzioni Cognitive: Studi su pazienti con danni cerebrali hanno mostrato che lesioni specifiche possono causare deficit cognitivi particolari. Ad esempio, lesioni nell’area di Broca possono compromettere la capacità di parlare, mentre lesioni nell’area di Wernicke possono influenzare la comprensione del linguaggio.

Imaging Cerebrale: Tecniche di imaging, come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la tomografia a emissione di positroni (PET) mostrano che l’attività cerebrale è correlata a specifiche funzioni cognitive e stati di coscienza. Ad esempio, attività neurale in regioni come la corteccia prefrontale è associata a funzioni esecutive e processi decisionali.
Studi Elettrofisiologici:

Studi Elettrofisiologici: Le registrazioni elettriche dell’attività cerebrale, come l’elettroencefalografia (EEG) e le registrazioni di singoli neuroni, hanno dimostrato che specifici pattern di attività neuronale sono associati a differenti stati di coscienza e processi cognitivi.

Studi sui Neurotrasmettitori: La ricerca ha dimostrato che i neurotrasmettitori (come la dopamina, la serotonina, e il glutammato) giocano ruoli chiave nella modulazione dell’umore, della percezione e delle funzioni cognitive, evidenziando l’importanza delle interconnessioni neurali e della comunicazione chimica nel cervello.

Plasticità Neurale: La plasticità neurale, ovvero la capacità del cervello di riorganizzarsi in risposta a nuove esperienze o danni, suggerisce che le interconnessioni neurali sono fondamentali per l’apprendimento e l’adattamento. Questo fenomeno è stato osservato attraverso studi su individui che hanno recuperato funzioni cognitive dopo danni cerebrali tramite la riorganizzazione delle connessioni neurali.

Gli studi di deprivazione sensoriale, dove gli input sensoriali vengono ridotti o eliminati, mostrano cambiamenti nei processi cognitivi e nello stato di coscienza, suggerendo che la coscienza e le funzioni cognitive dipendono dall’elaborazione delle informazioni da parte delle reti neurali.

Genetica e Neurobiologia: La ricerca genetica ha identificato geni specifici che influenzano lo sviluppo e la funzione delle reti neurali, supportando l’idea che l’intelligenza e la coscienza siano radicate nelle strutture e nei processi cerebrali.
Queste prove convergenti da diverse linee di ricerca indicano fortemente che l’intelligenza e la coscienza emergono dalle complesse interazioni tra i neuroni nel cervello.

Modelli Computazionali: I modelli computazionali del cervello: I modelli computazionali del cervello, che cercano di replicare le funzioni cognitive tramite reti neurali artificiali, hanno fornito ulteriori prove. Questi modelli mostrano che le reti di connessioni interattive possono dare origine a comportamenti complessi simili a quelli umani.
L’idea di creare intelligenza artificiale attraverso l’interconnessione di neuroni virtuali è strettamente legata alle scoperte e teorie sulla funzione del cervello umano. Questa concezione ha portato allo sviluppo di reti neurali artificiali, che sono alla base di molte delle tecnologie di intelligenza artificiale odierne.

Algoritmo del pensiero

se le decisioni sono mosse da un meccanismo di tipo biologico, o in ultima analisi fisico, allora è fortemente plausibile che esse siano deterministiche, ossia che alla base del nostro ragionare vi sia un meccanicismo di funzionamento, per quanto complesso. Possiamo chiamarlo “algoritmo del pensiero”.

Il paradosso apparente dell’invalidazione del ragionamento all’origine determinato dalle conclusioni

Una obiezione che qualche volta mi è stata portata in tal senso è: “se però il tuo ragionamento è portato in questa maniera, se l’origine è biologica, come hai sicurezza che il tuo modo di ragionare e di pensare sia affidabile?”.

Essenzialmente, sta dicendo “Se il ragionamento (di cui ti fidi) ti porta a questa conclusione, allora la conclusione affidabile è che il ragionamento non è affidabile e quindi il ragionamento non è più attendibile, il che nega poi la conclusione”.

Questa obiezione, portatami dall’amico Daniele Pallaver (che saluto), tuttavia è in realtà applicabile a qualsiasi altra origine del pensiero e del ragionamento.

L’assunzione che un pensiero o un ragionamento debba essere affidabile solo se basato sul libero arbitrio comunemente inteso come capacità di scegliere libero da fattori sia interni che esterni è arbitraria, oltre al problema che resterebbe insoluto il modo con cui poi si attribuirebbe la responsabilità – nel bene e nel male o nel giusto o lo sbagliato – della mia decisione.

Non potremo mai sapere se il nostro approccio razionale (da cui deriva tutto) è valido in modo oggettivo o se c’è una catena di bias che ci impedisce di vedere che siamo sempre in errore, ma questo vale per ogni tipologia di origine della ragione.

L’idea che solo questa riservi questo problema, è legata all’assunto arbitrario ed infondato che semplicemente non vi sia una motivazione per cui la capacità di ragionamento, così sviluppata sia attendibile. Ma noi abbiamo persino conoscenza dei perchè sia da ritenersi attendibili.

Ovviamente, questi perchè potrebbero essere illusori assumendo che l’approccio non sia in realtà valido, ma questo varrebbe per ogni tipologia di approccio e di origine della nostra capacità decisionale.

Lo si può contestare solo assumendo un assunto arbitrario, che noi (giustamente) non assumiamo.

Determinismo

La posizione determinista afferma che tutte le azioni e le decisioni umane sarebbero il risultato inevitabile di cause antecedenti, siano esse di natura fisica, biologica o ambientale. In questa visione, ogni evento è determinato da una catena ininterrotta di cause ed effetti, il che implicherebbe che la capacità decisionale degli individui sarebbe vincolata da fattori precedenti e non può essere considerata veramente libera.

Il problema è la definizione di libertà: la libertà non può essere assoluta in alcun caso. La libertà assoluta e l’assenza di qualsivoglia pulsione o vincolo causerebbe immobilità, proprio come la perfezione assoluta sarebbe a sua volta immobilità. La libertà è sempre relativa: noi siamo contingenti, ergo il frutto di cause precedenti, le quali ci hanno determinati, ma al momento noi siamo da un lato parte del campo del reale e a nostra volta una realtà più piccola e contenuta, i cui stati interni determinano la nostra volontà.

Questo pone ancora il problema postomi prima: se noi siamo la causa di ciò che è venuto prima, perché mai il nostro pensiero dovrebbe funzionare in un dato modo specifico? La ragione è che non si può assumere questa catena di eventi come un andamento insulso che debba sfociare nel caos: noi siamo una delle conseguenze della catena di eventi. L’errore è il tentativo di porre l’essere umano e la sua ragione in cima, come se fosse la motivazione di tutto. Questa può essere una argomentazione teologica, ma non razionale o scientifica. La nostra capacità di ragionare è stata una naturale conseguenza dell’evoluzione biologica, perché ha fornito un vantaggio evolutivo.

E la fisica quantistica?

Alcuni hanno suggerito che la presenza di fattori quantistici nel funzionamento del cervello umano potrebbe indurre un fattore intrinsecamente casuale, se si considera l’interpretazione di Copenaghen del principio di indeterminazione di Heisenberg. Tuttavia, questo non restituirebbe all’individuo il potere di controllare la propria volontà: un fattore intrinsecamente casuale si unirebbe ai fattori deterministici, fornendo un ulteriore elemento su cui l’individuo non avrebbe comunque controllo. Semplicemente, se i processi cerebrali sono influenzati da eventi quantistici, una parte delle decisioni potrebbe essere intrinsecamente casuale. In breve, la presenza di fattori quantistici indeterministici non risolve il problema del libero arbitrio, poiché introduce casualità invece di vero controllo.

Non sappiamo se esiste un altro tipo di fenomeno, oltre a quello deterministico e (forse) intrinsecamente casuale, che possa essere parte del cervello, ma sappiamo che, almeno fino ad ora, non sono riconosciuti altri fenomeni in fisica e il cervello funziona su basi fisiche. Quindi, o in natura esiste un altro tipo di fenomeno o il nostro cervello deve funzionare su basi deterministiche e/o causali.

Perché percepiamo di essere intrinsecamente liberi?

  • Coscienza e Autoconsapevolezza: La nostra coscienza ci fornisce una sensazione di autonomia e controllo sulle nostre azioni. Questa autoconsapevolezza è un aspetto centrale dell’esperienza umana.
  • Illusione di Libertà: Alcuni neuroscienziati e filosofi suggeriscono che la percezione del libero arbitrio possa essere un’illusione evolutiva. Questa illusione potrebbe avere un valore adattivo, favorendo la responsabilità personale e la coesione sociale.
  • Complessità del Cervello: Il cervello umano è estremamente complesso e opera a livelli che non comprendiamo completamente. Anche se le basi fisiche sono deterministiche o casuali, l’interazione tra miliardi di neuroni e sinapsi può creare l’apparenza di scelte libere.

L’esperimento di Libet e la coscienza

L’esperimento di Libet e le sue repliche successive, più dettagliate e precise, sembrano però rivelare che la coscienza insorge dopo che gli impulsi attuativi della decisione presa diventa cosciente. L’esperimento di Benjamin Libet del 1983 mirava a indagare la relazione tra la volontà cosciente e l’attività cerebrale. Utilizzando l’EEG, Libet scoprì che il potenziale di prontezza (RP) nel cervello iniziava circa 500 ms prima che i soggetti fossero consapevoli della loro decisione di muovere un dito. Repliche successive, come quella del 2006, con tecnologie come fMRI e EEG ad alta risoluzione, hanno confermato questi risultati, mostrando che l’attività cerebrale preparatoria può iniziare fino a 10 secondi prima della consapevolezza cosciente, sollevando domande sul ruolo della coscienza nel processo decisionale e sul libero arbitrio.

Ciò ha portato verso una possibile definizione della coscienza come “una sorta di presa di consapevolezza della decisione, una specie di senso di accordo con le nostre decisioni inconsce”.

Tralasciamo per un attimo l’origine (biologica o meno) della nostra volontà. Il problema nasce infatti dalla definizione di volontà. La domanda su cosa significhi esattamente che una scelta sia “libera” è fondamentale nel dibattito sul libero arbitrio. Per chiarire meglio questo concetto, possiamo esplorare diverse interpretazioni e approcci filosofici:

  • Definizione di “Libero” in Filosofia: In filosofia possiamo trovare diverse sfumature del concetto di libertà, ma il problema principale gira tutto intorno a due definizioni fondamentali: libertà metafisica e libertà compatibilista.
  • Libertà Metafisica: La capacità di fare scelte che non sono determinate da fattori antecedenti, né influenzate da forze interne o esterne.
  • Libertà Compatibilista: La libertà è intesa come la capacità di agire in accordo con i propri desideri, intenzioni e ragioni, anche se questi desideri sono determinati da fattori interni.

La libertà metafisica è il concetto tradizionale di libero arbitrio, in cui un individuo ha la capacità di fare una scelta che non è determinata da nessun fattore antecedente. Qui, la libertà implica che le azioni non siano predeterminate né da forze interne né da forze esterne. Gli esseri umani vivono quotidianamente l’esperienza di fare scelte. Questa percezione soggettiva di avere il controllo delle proprie decisioni è una parte fondamentale della nostra coscienza e del modo in cui comprendiamo noi stessi. Sentiamo che possiamo deliberare tra diverse opzioni e che le nostre azioni sono il risultato delle nostre decisioni. E ci sentiamo liberi da forze esterne e anche da eventuali forze interne, concependo queste come qualcosa di esterno a noi anche quando interne. È come se non volessimo riconoscere la nostra stessa volontà come un fenomeno, ma come una capacità intrinseca di noi, priva di forze che determinano le nostre azioni con quel “noi” come un concetto però svincolato da ciò che siamo. È un concetto non meglio definito.

Due problemi: emotivo e percettivo

Sorgono però due grossi problemi, oltre a quelli di natura teologica: il fatto che l’essere umano ha spesso delle difficoltà a ridurre la propria capacità ragionativa a una sorta di algoritmo biologico (o comunque fisico) e il fatto stesso che noi percepiamo per davvero la sensazione di essere liberi di scegliere al di là della nostra stessa natura, ossia rispetto alle nostre forze interiori.

Gli esseri umani faticano a concepire la loro mente come un semplice algoritmo biologico perché la nostra esperienza cosciente e la complessità delle decisioni sembrano trascendere semplici meccanismi deterministici. Inoltre, percepiamo una sensazione genuina di libertà di scelta, che sembra contraddire l’idea che le nostre azioni siano interamente determinate da cause fisiche o casuali.

La sensazione di agire come agenti autonomi privi di vincoli anche interni, ma al contempo responsabili delle nostre azioni, è profondamente radicata nella nostra psicologia. Questa sensazione è supportata da meccanismi neurali che ci danno un senso di controllo, responsabilità e libertà. Tuttavia, ad un’analisi più approfondita, questo concetto appare insensato. Qualunque cosa sia quella volontà che ci fa agire è una forza, ma noi vogliamo attribuirla a noi, ma non alla nostra natura. E questo è un problema.

La Responsabilità Giuridica e di Merito

Un altro aspetto cruciale del dibattito sul libero arbitrio riguarda la responsabilità giuridica e il merito delle nostre azioni. Sia che si adotti una posizione determinista o indeterminista, purché si assuma che la libertà non sia metafisica ma solo libera da influenze esterne, la questione della responsabilità rimane intatta. In questo contesto, merito e demerito sono il risultato delle conseguenze della nostra natura, quindi certamente imputabili a noi.

Il sistema giuridico non va in crisi poiché il suo scopo principale è fungere da deterrente e tutelare la società, indipendentemente dalla natura del libero arbitrio. Anche in una realtà determinista o indeterminista, le leggi e le pene funzionano come deterrente per prevenire comportamenti antisociali e come strumento per proteggere i cittadini. Inoltre, si può valutare se applicare una giustizia preventiva o punitiva, ma questo rimane una questione etica.

LA TEOLOGIA, LA TEODICEA E I SUOI PROBLEMI: Il Paradosso Teologico del Libero Arbitrio

La conseguenza teologica del paradosso del libero arbitrio è particolarmente rilevante nelle tradizioni religiose che sostengono l’esistenza di un Dio onnipotente, onnisciente e benevolo. Se Dio ha creato gli esseri umani con una natura intrinsecamente buona e con il libero arbitrio, come si spiega la presenza del male nel mondo?

Secondo la dottrina tradizionale, il libero arbitrio è spesso invocato per spiegare il male: Dio ha dato agli esseri umani la libertà di scegliere, e il male è il risultato delle scelte errate degli individui. Tuttavia, questa spiegazione solleva ulteriori questioni: se la volontà degli individui è determinata dalla loro natura, che è a sua volta creata da Dio, allora Dio non è forse indirettamente responsabile delle azioni malvagie?

Questo paradosso mette in discussione la coerenza interna della teologia tradizionale. Se Dio è la causa ultima di tutte le cose, compresa la natura umana e il libero arbitrio, come può essere assolto dalla responsabilità del male? Inoltre, se si afferma che il libero arbitrio deve essere completamente indipendente da qualsiasi forza interna o esterna per evitare di attribuire a Dio la responsabilità del male, allora ci si trova di fronte a un concetto di libertà che è difficilmente difendibile dal punto di vista logico e filosofico.

Le teologie che cercano di mantenere la bontà e l’onnipotenza di Dio, senza renderlo responsabile del male, spesso ricorrono a definizioni di libero arbitrio che sono insostenibili o contraddittorie. Il tentativo di scollegare completamente la volontà umana dalle influenze sia interne che esterne, pur mantenendola imputabile alla persona, appare una strategia per evitare di affrontare direttamente il problema.

Conclusione

In sintesi, il dibattito sul libero arbitrio e la natura della mente umana continua a essere un terreno fertile per la riflessione filosofica e scientifica. Mentre le teorie materialistiche suggeriscono che il cervello sia la base fisica della mente e che le nostre decisioni siano il risultato di processi deterministici o casuali, altre visioni cercano di preservare un senso di autonomia e responsabilità morale. La libertà, nella sua definizione compatibilista, appare come una sintesi pragmatica che riconosce le influenze interne ed esterne, ma che consente ancora di attribuire significato alle nostre azioni e scelte.

Il problema del libero arbitrio non è solo una questione accademica, ma ha profonde implicazioni per la nostra comprensione della responsabilità, della moralità e della dignità umana. La sfida è trovare un equilibrio tra l’accettazione delle scoperte scientifiche e il mantenimento di una concezione di libertà che sia significativa e coerente con la nostra esperienza quotidiana. Qualunque sia la posizione che si adotti, rimane chiaro che la questione del libero arbitrio ci costringe a confrontarci con alcune delle domande più fondamentali e difficili sulla natura umana e il nostro posto nell’universo.

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