Quando si affrontano le discussioni con antievoluzionisti, ci si trova spesso di fronte a una parata di affermazioni tanto sicure quanto infondate. Uno degli esempi più comuni di queste accuse è la “grande domanda” che viene posta con tono trionfante: “Dove sono le prove che l’evoluzione ha prodotto nuovi geni? Nessun nuovo gene è stato prodotto dalla mutazione/selezione, giusto?”. Questa domanda, apparentemente astuta, ha lo stesso valore di un trucco di prestigio: cerca di illudere chi la riceve, confondendo concetti scientifici con retorica antiscientifica. Ma il trucco è destinato a fallire.
Un Classico della Retorica Creazionista
L’antievoluzionista di turno si appiglia spesso a questa presunta mancanza di prove per sostenere che l’evoluzione non possa spiegare l’origine di nuovi geni. È un’accusa tanto ricorrente quanto stantia, e soprattutto basata su una comprensione profondamente sbagliata di come funzionino i processi evolutivi. La verità? I nuovi geni non solo si formano, ma abbiamo anche prove scientifiche documentate che lo dimostrano. Gli studi sull’evoluzione di nuovi geni – prodotti da duplicazioni geniche, mutazioni, o trasformazioni di sequenze non codificanti in sequenze codificanti – sono numerosi e ben consolidati.
Ma prima di entrare nei dettagli, sorge una domanda: da dove arriva questa ossessione per i “nuovi geni”? La risposta è semplice: dalla retorica creazionista, che cerca di imporre confini arbitrari e inesistenti tra microevoluzione e macroevoluzione, come se la natura stessa seguisse i rigidi dogmi delle loro convinzioni religiose. In realtà, non esiste una “linea magica” che separa i due processi. L’evoluzione opera in un continuum, dove piccole variazioni genetiche si accumulano nel tempo, portando a cambiamenti sostanziali.
Il Caso di Lenski e il Citato “Fomenti”
Prendiamo come esempio l’esperimento di Richard Lenski, una delle più lunghe osservazioni sperimentali sull’evoluzione mai condotte. Oltre 70.000 generazioni di batteri Escherichia coli sono state monitorate per capire come i meccanismi di mutazione e selezione naturale funzionano nel tempo. E qual è stato il risultato? L’evoluzione di una nuova capacità metabolica: i batteri hanno sviluppato la capacità di metabolizzare il citrato in presenza di ossigeno, una caratteristica che normalmente non possiedono. Questo fatto, osservato e documentato in laboratorio, è un esempio tangibile di come nuovi tratti emergano attraverso mutazioni e selezione.
Ma ecco che i detrattori, come l’antievoluzionista in questione, riducono questo risultato a “microevoluzione”, dicendo che non c’è stata produzione di nuovi geni. È qui che la loro argomentazione crolla sotto il peso della realtà. L’evoluzione non ha bisogno di creare “nuovi geni” in senso stretto ogni volta che un nuovo tratto emerge. In molti casi, come quello dei batteri di Lenski, nuovi tratti emergono da riorganizzazioni regolatorie di geni esistenti, un meccanismo ben noto e documentato.
E poi, per dare un tocco di autorità fittizia alla loro argomentazione, spesso citano “esperti” come il fantomatico “Professor Fomenti” dell’Università di Pavia, personaggio che non esiste né nella comunità scientifica né nei registri accademici. Ma anche se Fomenti esistesse (e non esiste), la scienza non si fa con opinioni personali: conta solo ciò che è riproducibile, verificabile e riconosciuto dalla comunità scientifica.
Le Falsità del “Tipo Base”
Un’altra perla della retorica antievoluzionista è l’insistenza sull’esistenza dei cosiddetti “tipi base”, categorie pseudoscientifiche che dovrebbero fungere da limiti insormontabili per l’evoluzione. Secondo questa visione, gli organismi possono cambiare solo entro i confini di queste categorie, senza mai trascenderli. E così, si sente parlare di “Canidi”, “Galliformi”, e “Felidi” come se fossero barriere invalicabili.
Ma il problema di fondo è che questi “tipi base” sono una creazione creazionista, non un concetto biologico. I termini come Canidi o Felidi sono semplici classificazioni tassonomiche, che descrivono gruppi di organismi con un antenato comune. Non sono confini magici che l’evoluzione non può superare. Le specie continuano a diversificarsi, anche oltre queste categorie. Il concetto di tipo base, dunque, è nient’altro che un tentativo disperato di preservare una visione del mondo che la biologia ha ampiamente superato.
La Creazione di Nuovi Geni: Le Prove Scientifiche
Ora torniamo alla domanda iniziale: l’evoluzione produce nuovi geni? La risposta è sì, e abbiamo prove concrete per dimostrarlo. Un esempio è la duplicazione genica: un gene esistente viene duplicato, e una delle copie può subire mutazioni che le permettono di acquisire una nuova funzione. Studi come quello di Manyuan Long et al. pubblicato su Nature Reviews Genetics dimostrano esattamente questo: nuovi geni si sono evoluti tramite duplicazione e divergenza funzionale. Questo processo è stato osservato in diversi organismi, e documentato in laboratorio.
Inoltre, ci sono casi di geni che emergono de novo, cioè da sequenze di DNA non codificanti che diventano funzionali attraverso l’accumulo di mutazioni. Studi su lieviti e insetti mostrano che l’evoluzione può portare all’apparizione di nuovi geni che svolgono nuove funzioni biologiche, un fenomeno ampiamente verificato.
Conclusione: Il Peso della Ragione
Il dibattito con gli antievoluzionisti, spesso, non riguarda tanto i fatti quanto una difesa ideologica. La scienza, però, non è una questione di opinioni o retorica: è un metodo per comprendere la realtà basato su evidenze, esperimenti e verifiche. Gli studi sull’evoluzione hanno dimostrato ampiamente che i nuovi geni possono nascere, che i nuovi tratti emergono, e che la selezione naturale funziona esattamente come previsto.
Negare questi fatti non cambia la realtà. Ed è proprio questa realtà, non le fantasie pseudoscientifiche, che dovrebbe guidare la nostra comprensione del mondo naturale.